mercoledì 3 novembre 2010

Lo Spadaccino di Zyz - Terza Parte

La Madre Terra ci parla. Attraverso le tracce possiamo leggere ciò che è accaduto e da molti segnali possiamo prevedere ciò che accadrà.
Lo stesso accade con gli uomini. Non lasciate che i vostri avversari leggano nei vostri occhi dove li colpirete, ma leggete nei loro dove vi attaccheranno.
Prima Lezione dello spadaccino

Lo Spadaccino di Zyz – Terza Parte

Oggi
Sanguinava da numerose ferite superficiali, con il ginocchio a terra, e con le due spade che non avevano ancora sfiorato il corpo dell'avversario. Una volta sola era riuscito a strapparne l'ampia veste rosso rubino, fra le le cui pieghe svolazzanti adesso s'intravedeva un lembo di pelle rosea.
Neeno non riusciva a capacitarsi di una simile situazione, non riusciva a fornirsi alcun indizio di come fosse potuto accadere. Di come stesse accadendo proprio a lui.
Non riusciva a sganciarsi dal corpo, era lento e goffo: i suoi attacchi prevedibili, le sue parate sempre in ritardo.
Iniziava a pensare che quell'uomo gli stesse facendo qualcosa di oscuro.
Il suo maestro, il Mago Zoras, aveva cercato di prepararlo a qualcosa una del genere, ma adesso non riusciva a ricordarne la parole. Anche Xa'yum lo aveva avvisato, ma non era riuscito a spiegarsi a dovere.
Neeno tentò nuovamente di intercettare lo sguardo del suo avversario e ancora una volta riuscì a scorgere i suoi occhi, sempre fissi come quelli di un cieco: guardavano un punto imprecisato alle sue spalle e non si lasciavano mai decifrare.
Si rialzò, cercando di muoversi il più velocemente possibile, ma ancora una volta l'Inquisitore danzò lontano dal suo acciaio con un movimento fluido e composto. Per un attimo fu sfiorato dall'idea di una scuola dietro quella schivata, ma non capì quale.
La mia mente si sta impantanando”, pensò allora Neeno, “Yznar mi distrae con i suoi movimenti, perdo tempo a cercare di capire a che scuola appartiene, mentre dovrei Mutare... perché non ci riesco?
Fece appena in tempo a spostare la spada corta per una parata bassa, ma non provò nemmeno a contrattaccare perché ancora una volta Yznar gli aveva fatto perdere l'equilibrio.
Non era forte, l'Inquisitore, né molto alto, ma i suoi colpi erano sferrati con una violenza inaudita, che mai Neeno aveva provato prima. Il duello con Sarmen al confronto era stato una passeggiata!
Allora lo folgorò un pensiero:
Sarmen! Il Bruco!
Fece tre passi indietro e con un movimento plateale rinfoderò entrambe le lame da cintura, la sciabola e la daga. Chiuse gli occhi e s'inginocchiò sedendosi sui talloni. Sfoderando dalla schiena la spada lunga a due mani, si mise in posizione 'Nzusu.
Adesso Neeno sapeva cosa andava fatto.
Yznar disse: «Finalmente comincia il vero divertimento, mi pare di capire»
***
Tre giorni prima
I due ragazzi mi avevano lasciato da poche ore. Avevo nascosto i cadaveri in una profonda forra abbastanza distante dal pozzo e adesso riflettevo all'ombra di un olivo sulla prossima mossa. Non dovevo lasciare al mio avversario il tempo di capire quale tempesta stava abbattendosi su di lui.
Forse mi sarei dovuto recare direttamente al Sohostero e sfidarlo in casa sua. Oppure avrei dovuto prima cercare altre guardie e farle fuori, in modo da poter affrontare solo l'Inquisitore. Qualche capacità doveva pure averla per aver sconfitto uno spadaccino.
Certo, Xa'yum non era un grande combattente, le losanghe alle sue tempie lo dimostravano: erano state più volte ricolorate, segno indelebile di diverse sconfitte. Tuttavia l'uomo aveva insegnato a sua figlia tutto ciò che conosceva, lo avevo letto dagli sguardi e dal dubbio insinuatosi nella mente della ragazzina: davvero alcuni spadaccini di Zyz non sono dei codardi o dei venduti?
Mancavano ancora delle ore prima che facesse buio e decisi di cercare i famosi pozzi di sale di cui mi aveva parlato il mio anfitrione il giorno prima. Xa'yum era stato una vera sorgente di informazioni, mi sembrava di conoscere quelle colline come fossero casa mia, da quanto bene me le aveva descritte. A mio parere Xa'yum non avrebbe mai dovuto lasciare Zyz, ma sarebbe dovuto rimanere e diventare insegnante: ne aveva la stoffa.
Eppure se era andato via un motivo doveva esserci e forse la nascita della ragazza non era una casualità.
Mi mossi velocemente, senza tuttavia forzare l'andatura: dal punto in cui ci trovavamo, seguendo la direzione nord est, non dovevano essere più di tre miglia dal pozzo d'acqua ai pozzi di sale.
Ero quasi arrivato, quando scavalcai un muretto a secco e la vidi!
«Sarmen!?», feci, sorpreso.
«Neeno Daedem, si saluta così una signora?»
Ero interdetto. La donna che avevo davanti aveva lasciato Zyz cinque anni prima di me. Era l'unica ad avermi mai battuto, seppure in addestramento.
«Certo che no, perdonami!», risposi, «La Lama Grande non si spezzi mai, Mutatore», dissi, infine.
«E le Altre Lame possano sempre essere affilate, Mutatore», rispose lei.
La mente corse all'ultima volta che ci eravamo incontrati.
***

Oggi
Yznar disse: «Finalmente comincia il vero divertimento, mi pare di capire»
Neeno si era reso conto della litania. Finalmente aveva compreso il ritmo del suo avversario; non era nei movimenti, bensì nella sua voce: nemmeno per un istante aveva smesso di pregare il suo dio ed era stato questo ad imprigionarlo!
«Puoi anche smettere di pregare, adesso, prete!»,suggerì Neeno, «Ho compreso il tuo disegno e ho individuato il bruco che rode la tua mente»
«Allora non ti resta che trovarlo e distruggerlo, spadaccino!», lo provocò Yznar, mettendosi anche lui in guardia.
Estraniandosi, la sua mente prese il volo e inseguì Yznar lì dove era andato a prepararsi, mentre i loro corpi rimanevano fermi in posizione di guardia. Neeno vide quattro grandi pareti dai colori cangianti, un tetto a doppia volta con decori che sembravano un tappeto di fiori gialli. Sul pavimento un disegno romboidale di marmo bianco, con svastiche a triple spirali rovesciate.
Il suo corpo d'ombra raccolse l'energia e attaccò con violenza. Era il miglior modo per non permettere al suo nemico di concentrarsi a dovere. Questi ebbe appena il tempo di voltarsi e parare l'onda di energia.
«Sapevo che mi avresti seguito fin qui, Daedem»
Neeno non rispose, ma si concentrò sulle spirali. Doveva impedire che ne facesse uso e scagliò un flusso di scorno verso il pavimento.

Yznar ebbe il tempo di dire solamente “Maledetto” a denti stretti mentre creava un muro difensivo. Avrebbe preferito non ricorrere a tutto il suo potere, ma era evidente che questo spadaccino era davvero un avversario temibile.
Il suo corpo d'ombra si mosse velocemente, approfittando dell'istante di tregua concesso dal muro difensivo e attaccò il suo avversario con un fendente energetico, poi, mentre Neeno tentava di parare il colpo, tornò al suo corpo materiale voltandosi velocemente e tirando fuori una boccetta da una delle ampie tasche della sua veste. Ne versò il contenuto sul pavimento, ma quando cercò di tornare al suo corpo d'ombra si rese conto di aver sottovalutato il suo avversario.

Il corpo d'ombra di Neeno deviò senza fatica il fendente del suo avversario e si rese conto che era stato lanciato in fretta, senza la giusta concentrazione: Yznar si preparava a tornare nel suo corpo materiale lasciandolo lì da solo!
Bene, Inquisitore! Hai commesso l'errore che speravo!”, pensò e il suo corpo d'ombra si mosse senza esitare. Superò la grande sala entro la quale stavano lottando, oltrepassando un arco a sesto acuto dalle bizzarre decorazioni.

«Proprio così, Inquisitore!», lo schernì Neeno, «Non puoi tornare al tuo corpo d'ombra»
Yznar era basito:
«Com'è possibile? Quale Potere hai, spadaccino, per impedirmi di volare al mio corpo d'ombra?»
«Pensavi di aver incontrato altri spadaccini, vero? Si, lo pensavi... ma eri in errore! Neanche Sarmen era una vera Spadaccina di Zyz. il mio corpo d'ombra è nelle tue sale e vedo i corpi dei tuoi vecchi avversari... poveri illusi! Pensavano di essere forti abbastanza... beh, con me non riuscirai: io sono un Vero Mutatore di Zyz e i miei Poteri travalicano i tuoi»
La risata che seguì fece gelare il sangue nelle vene di Yznar: quel giovane lo stava sconfiggendo! Ma non era ancora detta l'ultima parola!
***

Tre giorni prima
«Che fai qui, Sarmen?», le chiesi.
«Sono stata mandata a ucciderti, Neeno»
«Mh, davvero? Ti ha mandata Yznar?»
«Questa è davvero una domanda stupida, da parte tua. Una volta eri più sagace»
«Non hai nulla da dirmi, prima di morire?»
«Niente che non ti abbia già detto quell'ultima volta. Sguaina la tua lama, Neeno, il momento delle parole è terminato molto tempo fa»
L'affrontai. I suoi occhi rossi, i suoi movimenti a scatti, la lentezza dei riflessi: tutto mi diceva che faceva un uso smodato di oppiacei. Provavo pietà per lei: un tempo era stata una delle allieve predilette del Mago Zoras, una delle migliori spade di Zyz. Soprattutto, però, ci eravamo amati.

A otto anni, quando fui ammesso alla scuola, lei era già lì da un anno e la conobbi in maniera piuttosto turbolenta. Ero mingherlino a quel tempo e gli altri ragazzi mi avevano subito preso di mira a causa del mio sangue misto.
Fin quando erano in due o tre riuscivo a tenerli a bada abbastanza bene: non ero digiuno di scherma, poiché il soprastante del mio padrone mi aveva insegnato i rudimenti del bastone corto. Un giorno però, mentre andavo verso il ruscello con due secchi da riempire, mi si pararono dinanzi in sette. Tra loro c'era anche Sarmen.
Iniziarono a provocarmi e quando arrivò la prima spinta non seppi resistere: scaraventai un secchio in faccia al capo della combriccola, Yul'yah e roteando l'altro secchio provai a tenerli lontani da me, ma erano in troppi. Presto mi furono tutti addosso e mi avrebbero massacrato di botte se Sarmen non avesse preso le mie parti. In due li mettemmo in fuga e Yul'yah ce la giurò.
Da quel giorno io e Sarmen fummo inseparabili. Sia lei che io procedevamo negli insegnamenti più speditamente degli altri. Grazie al mio sangue Vaunlay, avevo una capacità sensoriale maggiore, mentre Sarmen aveva un'agilità e una velocità senza pari nella scuola.
Passarono gli anni ed entrambi eravamo cresciuti. Dall'amicizia dell'infanzia, il nostro rapporto si era trasformato in qualcosa di più e questo faceva preoccupare il nostro maestro. Ci ripeteva spesso che non poteva impedire che di amassimo, ma ci metteva in guardia verso questo sentimento che, secondo lui, ci indeboliva.
Non lo ascoltammo. E continuammo a incontrarci e allenarci insieme.
Passò un altro anno e Sarmen era a un passo dal raggiungere la Prima Perfezione, il primo vero traguardo per chi frequentava la scuola.
Era il quinto giorno d'autunno e ancora oggi non so con precisione cosa accadde: Sarmen mi raccontò che andava da sola verso il tempio di Blen, a pregare per l'esame che avrebbe affrontato di lì a poco. Yul'yah e i suoi compagni la sorpresero alle spalle e le fecero del male.
Per anni fui vittima del rimorso per non essere stato presente.
Lei ne parlò solo con me, il giorno dopo, pesta e dolorante. Parlammo a lungo e, per la prima volta, mi disse che desiderava andare via da Zyz, che la sua vita non poteva rimanere legata a quel luogo: i ricordi l'avrebbero uccisa.
Litigammo, perché volevo convincerla a rimanere e denunciare al Mago Zoras l'accaduto. Le proposi persino che l'avrei aiutata a vendicarsi, se solo avesse atteso qualche tempo per calmare il suo spirito secondo gli insegnamenti della scuola.
Non volle la mia compagnia quella notte e non accettò la mia proposta di andare via insieme.
«Quando sarò pronta andrò via da sola», concluse.
La mattina successiva trovarono i cadaveri sgozzati di Yul'yah, Nerghil, Chulchan e Moudimer.
Sapevo che era stata lei, ma il sospetto venne a tutti, poiché era fuggita nottetempo.

Sarmen era stesa a terra e io, a tre metri di distanza, non avevo il coraggio di guardarla.
«Finiscimi», disse.
Non seppi cosa dirle. L'avevo ferita in maniera piuttosto grave e il mio cuore piangeva, mentre i miei occhi si facevano di ghiaccio.
«Uccidimi, Neeno, te ne prego! Sai che potrei riprendermi da questa ferita, lo sai bene...»
«Lo so, Sarmen. Perché vuoi che ti uccida? Già una volta abbiamo preso strade diverse... posso portarti da un mio conoscente che si prenderà cura di te fino a quando ti sarai ristabilita e poi potrai andare nuovamente per la tua via»
Ero riuscito a guardarla negli occhi. Quegli occhi che erano stati la mia benedizione per tanti anni e la mia maledizione quasi per altrettanti. Adesso mi erano estranei, velati dalle droghe e iniettati di sangue e sofferenza.
«Non sai cosa ho passato in questi anni, Neeno Daedem. Non sai che significa essere schiavi»
Tossì e sputò del sangue, poi continuò:
«Ho vagato a lungo alla ricerca della pace e la mia spada ha bevuto molto sangue. Per dimenticare ciò che mi martoriava ho preso a fumare oppio e da lì è iniziato il mio declino»
Il suo viso era una maschera di sofferenza, e non era la ferita a farla soffrire.
«Non devi giustificarti con me e non devi raccontarmi nulla se non vuoi», le dissi.
«Ma io voglio! Voglio che tu capisca perché devi uccidermi! Mi credi davvero tanto stolta da non sapere che mi avresti sconfitta? Eppure ho accettato il denaro che Yznar mi ha dato per affrontarti! Trovo giusto che sia tu a porre fine alla mia misera esistenza. Sei l'unica persona che mi ha mai voluto bene veramente»
Le mie certezze stavano crollando. Mi mossi verso di lei. Non avevo ancora rinfoderato la spada.
«Da quando sei agli ordini dell'Inquisitore?»
Mi guardò dritto negli occhi e per un attimo riacquistò la sua dignità:
«Non sono ai suoi ordini. A volte passo da qui per rifornirmi di oppio da un mercante e Yznar mi paga per... degli incarichi»
«Io sono un incarico?»
Avevo sottovalutato il servizio di spie dell'Inquisitore, ma avrei dovuto immaginarlo: in un paese tanto piccolo un tipo come me non passava inosservato. Mi chiesi se Xa'yum fosse ancora vivo.
Sarmen tardò a rispondere. Il suo respiro si faceva sempre più corto. La perdita di sangue iniziava a farsi davvero grave.
«Che ne dici, allora? Siamo ancora in tempo per salvarti la vita, Sarmen»
«Ti ho chiesto di uccidermi!», urlò, poi un accesso di tosse la piegò in due. Mi inginocchiai accanto a lei e le presi la testa con una mano, mentre con l'altra, lasciata cadere la spada, cercavo di ripulire il viso dal sangue che stava ancora sputando.
«Yznar pensa di sapere tutto di te», disse quasi in un rantolo. «Ha ucciso altri spadaccini, ma nessuno di questi era bravo quanto te. Arriverà un momento in cui penserà di aver vinto e abbasserà la guardia. Trova il bruco che gli rode la mente e lo sconfiggerai»
Aveva gli occhi chiusi e sembrava quasi rilassata.
«Adesso uccidimi, ti prego. Nel nome di quello che c'è stato fra noi, Neeno... poni fine alla mia esistenza, non ne posso più di viverla!»
L'accontentai.
«Ti ho amata a lungo, Sarmen, e avrei voluto un destino diverso per noi due», dissi piangendo.
***

Oggi
Il corpo d'ombra di Neeno superò l'arco a sesto acuto con la spada lunga impugnata con la destra. Entrò in una sala meno larga ma molto più lunga della prima. La parete sinistra era affrescata con immagini oscene di sacrifici umani e di orge: Neeno si domandò se il suo Dio conosceva la mente di Yznar e, se era così, come mai non lo puniva! I seguaci di Muhadd avrebbero dovuto praticare l'ascesi e l'astinenza.
La parete sulla destra alternava grandi finestre decorate con mosaici a statue di numerosi Dei pagani e fiere mitologiche. Percorreva la sala in silenzio e sentiva i suoi passi rimbombare lungo il corridoio di marmo bianco. Nessun disegno ornava né il pavimento, né il soffitto.
Non c'era altra fonte di illuminazione che le finestre eppure la luce era diffusa uniformemente nella grande sala e non c'erano ombre. Non si stupì di questo: aveva vagato nelle menti di molti dei suoi avversari, ed erano pochi coloro che conoscevano il segreto di differenziare le luci nei loro mondi interiori.
Ciò che lo stupiva di più era il fatto che, più camminava, più la sala sembrava diventare lunga: non sembrava esserci una fine. Gli sembrò evidente che ciò che cercava doveva trovarsi lì da qualche parte.

Yznar recitò la litania che doveva seguire lo sversamento del liquido. Era un linguaggio oscuro, che Neeno non comprese: si lasciò un istante per scrutare il suo corpo d'ombra e agì senza ulteriori indugi. Attaccò il suo avversario mentre questi recitava l'incantesimo, ma non riuscì a raggiungerlo. Ebbe la sensazione che un muro di energia lo trattenesse, ma fu per poco: l'incantesimo ebbe successo e Neeno si trovò circondato da una dozzina di avversari armati di spada e scudo, protetti da alti elmi di ferro.
Lo spadaccino rimase scioccato quando si rese conto che a circondarlo erano state le statue poste a guardia dell'altare!
Tuttavia dovette riprendersi immediatamente dallo stupore iniziale, poiché le statue lo attaccarono tutte insieme. Si trovò a schivare corpi di pietra e lame d'acciaio, intercettando e deviando colpi portati con violenza inusitata.
Yznar si teneva lontano dallo scontro, ridendo soddisfatto perché il suo avversario stava per soccombere. L'Inquisitore tentò nuovamente di accedere al suo corpo d'ombra, ma non vi riuscì neanche stavolta.

«Forse non riuscirò a entrare nel mio corpo d'ombra, spadaccino, ma posso aiutare i miei guerrieri di pietra a distruggerti qui e adesso, così il tuo corpo d'ombra sarà per sempre relegato nel mio mondo interiore e potrò sfruttare tutti i tuoi poteri!», urlò lanciandosi all'attacco.
Neeno pensò: “Sono vicino, mi basta solo un altro minuto! Devo resistere!”, poi nient'altro lo distrasse dalla lotta.

La sala era immensamente grande. Doveva trovare anche un piccolo indizio che lo portasse al “bruco” di cui aveva parlato Sarmen. Al momento le armi non gli servivano lì dentro e rinfoderò la spada.
Sedette a gambe incrociate intuendo che una delle statue doveva essere la rappresentazione del bruco... una sorta di simulacro che, distrutto, avrebbe distrutto anche l'Inquisitore.
Non aveva tempo di controllare le statue una ad una, i suoi avversari lo stavano sfiancando e le ferite riportate all'inizio dello scontro con Yznar lo indebolivano sempre di più. Non sapeva quanto avrebbe resistito ancora.
Cercò di ricordare tutto ciò che sapeva dei seguaci di Muhadd.
L'intolleranza per tutto ciò che era diverso da loro caratterizzava ogni loro atteggiamento. Erano intransigenti e violenti nei confronti dei credenti di altre religioni. Ai loro sacerdoti, dai pretucoli di campagna ai grandi Inquisitori, era vietato prendere moglie e non potevano possedere beni materiali, anche se potevano gestire terre e rendite per conto del Dio Muhadd stesso.
Cosa potrebbe rodere una mente come quella dell'Inquisitore Yznar? Forse... che sia il potere? No, troppo semplice... forse la ricchezza? No, nemmeno, non hanno bisogno di ricchezze”, s'interrogava Neeno.
Improvvisamente spalancò gli occhi che aveva chiuso per riflettere. Il suo sguardo si posò su un altare dall'aspetto insignificante, scarno e dai colori pallidi, piccolo e privo di grazia o bellezza.
Neeno comprese subito che le sue riflessioni lo avevano portato in un “luogo dell'anima”, forse proprio il bersaglio che andava cercando! Muoversi fisicamente non avrebbe avuto senso in un luogo del genere, il pensiero lo aveva fatto spostare molto più in fretta e senza inutili tentativi.
Alzatosi, notò che sull'altare era poggiata un piccolo sasso verde-grigio. Allungò una mano per prenderlo e osservarlo meglio, ma una fitta di dolore al fianco destro lo bloccò!
Era stato ferito!
Sangue prese a colargli sulla gamba e una nuova ferita si aprì nella spalla sinistra. Piegato in due dal dolore cadde a terra. Si rialzò a fatica. Se fosse morto nel mondo reale il suo corpo d'ombra sarebbe rimasto schiavo di Yznar per un tempo che a lui sarebbe parso infinito, non poteva permetterlo!
Strinse i denti e allungò il braccio verso il sasso. Lo ghermì e gli parve di udire un urlo disumano fin dentro il suo cervello. Non riuscì a muovere il sasso e allora sguainò la spada lunga a due mani. Si concentrò, alzò la spada e colpì la pietra e l'altare con un un singolo fendente.
L'urlo si ripeté più forte e l'onda d'urto lo spinse indietro per centinaia di metri. Sbatté la schiena su una dura parete di roccia e svenne.

Quando riaprì gli occhi giaceva con la schiena appoggiata a una parete del Sohostero. Le statue-guerriere erano riverse sul terreno attorno a lui e il cadavere dell'Inquisitore giaceva immobile in una posa assurda a pochi passi dalla sua spada.
***

Cinque giorni dopo
«Ti sei svegliato, finalmente!»
A Neeno parve di conoscere quella voce.
«Hai dormito per quattro giorni e cinque notti. Mi sono preso cura di te, fratello, ho curato le tue ferite e fatto quello che potevo per la tua mente. È stata una dura prova per te, ma adesso hai il tuo fuso sulla fronte, Neeno Daedem»
Neeno udì la sua voce rispondere come provenisse da una caverna, tanto era diversa da come la ricordava:
«Mi ha maledetto», disse. «Ha detto che ogni giorno dovrò uccidere qualcuno, altrimenti invecchierò di un anno»
Xa'yum lo osservò tetro:
«Una Maledizione Senza Tempo. Sono le più terribili»
«Me ne devo liberare, Xa'yum. Non posso vivere ogni giorno della mia vita con il solo scopo di uccidere! Potrei impazzire!»
«Non so come aiutarti, amico. Ma adesso riposa, dormi ancora qualche ora, poi vedremo cosa fare»
Neeno si alzò a sedere con grande fatica.
«La mia spada. Dammela. Devo andarmene immediatamente, non posso vivere nella tua casa e rischiare che mi venga voglia di uccidere te e tua figlia per non invecchiare»
Odiò la sua nuova voce. Era rauca e gli sembrava provenire dalla gola di un morto.
Xa'yum si allontanò per pochi minuti, poi tornò con la lunga lama d'acciaio.
«La mia voce non tornerà mai normale, vero Xa'yum?», chiese Neeno.
«Temo di no. Hai subito una brutta ferita alla gola, è già tanto che tu non l'abbia persa del tutto. Vuoi davvero andare via?»
«Devo, amico mio. Ho già troppi ricordi terribili qui ad Àcatoy, non desidero aggiungerne degli altri»
«Come preferisci. Sappi però che io sarò qui, se deciderai di tornare»
Neeno annuì, ma rimase in silenzio. Si alzò, soppesò la spada e la ripose nel semplice fodero di cuoio e legno. Xa'yum preparò le sue poche cose.
Uscendo, Neeno chiese a Xa'yum dove fosse sua figlia. L'ex-spadaccino rispose:
«Ha chiesto di essere mandata a Zyz. Ho acconsentito. È partita ieri mattina con il suo amico Mucha, desideroso anche lui di diventare uno spadaccino»
«Speriamo abbiano un destino migliore del nostro, addio Xa'yum»
«Addio Neeno»
Lo guardò andare via. Strani pensieri presero forma nella sua mente, ma li scacciò infastidito e tornò alle sue occupazioni. Aveva una sedia da completare.

domenica 1 agosto 2010

Rielaborazione

Una serie di riflessioni, la creazione di due PG per il gioco di ruolo, alcune belle discussioni.
Tutto ciò ha portato a un ripensamento di un racconto pubblicato su questo blog qualche tempo fa. Si intitolava "L'assedio della Rocca" e narrava di un sovrano che tenta di conquistare una città.
Questo racconto mi aveva sempre dato un senso di insufficienza, come se il personaggio principale, Malkarth, fosse rimasto incompiuto, come se non avesse ancora detto tutto.
In effetti è stato così.
Serviva un contesto storico, servivano delle motivazioni e servivano alcuni sviluppi dotati di maggiore coerenza.
Per questo motivo sto riscrivendo il racconto con il titolo provvisorio "La Rocca di Tharmaes" e spero di postarlo entro due o tre giorni, inframezzando così la storia di Neeno, lo spadaccino di Zyz.
A presto

sabato 22 maggio 2010

Lo Spadaccino di Zyz - Seconda parte

C'è un tempo per la semina e uno per il raccolto.
Chi semina al tempo giusto raccoglierà al tempo giusto.
Chi non semina non raccoglierà nulla, ma chi percorre la Via è egli stesso il Seme e il Raccolto
Mago Zoras

Lo Spadaccino di Zyz – Seconda Parte

«Lo straniero, quello arrivato ieri!», disse Mucha. Era un ragazzino di tredici anni, piccolo per la sua età, secco come un chiodo, dai capelli neri e gli occhi a mandorla castani. Seduto sul muro a secco che delimitava il terreno di suo padre, mangiava una nespola dolce e ne lanciava i semi contro gli uccelli che aveva a tiro. Colpì un colombaccio e proseguì.
«Ha preso Ven'zo e lo ha sbattuto al muro, poi gli ha rotto il fucile! L'ho visto coi miei occhi! Ero alla fontana con Camerol Cuegi, il figlio del ciabattino»
«Lo conosco Camerol, è un cretino», disse Lilijan. Mucha sembrò risentirsi del commento acido. «Lo straniero si chiama Neeno e ha dormito da mio padre, poi prima che facesse giorno è sparito.», continuò la ragazza, «Quando sono arrivata a casa, stamattina, mio padre aveva una faccia che sembrava appena tornato da un funerale!»
Mucha la guardò. Per la prima volta in vita sua notò qualcosa di diverso dalla solita ragazzina sempre scompigliata con cui giocava da quando erano piccoli. Forse un accenno di seno, forse una luce diversa negli occhi, ma la sua amica era diversa e non solo esteriormente.
«Cosa pensi che voleva tuo padre da lui?», chiese.
«Che vuoi che ne sappia io?». Detto questo Lilijan saltò giù dal muretto e con uno sguardo provocatorio disse: «Perché non andiamo a bere un po' d'acqua pulita dalla fontana di Pica-Wica?»
Mucha la guardò sconsolato. Si domandò perché quella ragazzina riuscisse a trascinarlo in situazioni sempre più pericolose. Disse:
«Ci saranno le guardie, come al solito...»
«Hai paura?», lo provocò Lilijan.
«Si, e dovresti averne anche tu! Quelli potrebbero prendere a legnate me e non voglio pensare cosa potrebbero fare a te, se ci beccassero a rubare acqua che non ci spetta!»
«Basta che non ci facciamo prendere! », rispose imperterrita Lilijan. Lanciò una nespola a Mucha e iniziò a correre.
Il ragazzo fu svelto a evitare il frutto, saltò giù dal muro e corse dietro all'amica, osservandone i capelli rossi agitarsi per la corsa e provando strane sensazioni al basso ventre intuendone le forme sotto i poveri vestiti.

Era passata da poco l'ora del pranzo e il sole cuoceva il terreno. Le due guardie previste da Mucha sonnecchiavano all'ombra del grande noce della fontana.
Lilijan disse sottovoce:
«Vedi? Te lo dicevo che a quest'ora dormono! Vieni!»
Si mosse lentamente cercando di fare più silenzio possibile, seguita da Mucha. Il loro incedere fu interrotto dall'arrivo di una donna con due secchi. Si avvicinò alla fontana e iniziò a riempire il primo, manovrando con gran rumore la leva per l'acqua. Mucha era scioccato, infatti disse a Lilijan:
«Ma che fa questa pazza? Non sa che è vietato riempire due secchi per volta? Guarda, adesso si svegliano e le fanno la festa!»
Lilijan si limitò ad annuire e continuò ad osservare la scena.
Una delle due guardie si svegliò e diede di gomito al commilitone accorgendosi che la donna stava iniziando a riempire il secondo secchio. Si dissero qualcosa che i ragazzi non riuscirono a sentire.
«Hey, donna!», disse il soldato alzandosi, «Si può sapere che stai facendo?»
Le si avvicinarono con fare minaccioso, impugnando le mazze d'ordinanza. Lilijan si accorse che uno dei due era Ven'zo. Continuando a minacciarla e spingendola violentemente gettarono nuovamente nel pozzo l'acqua sia del primo che del secondo secchio.
I due si lanciarono un'occhiata complice e Ven'zo disse alla poveraccia che cercava di giustificarsi:
«Zitta, donna! Forse possiamo perdonarti e forse ti faremo andare via con un secchio pieno d'acqua, ma dovrai fare qualcosa per noi!»
La richiesta fu accompagnata da una mano portata ai genitali e la donna prese a lamentarsi e cercò di fuggire, ma fu bloccata dal secondo soldato, che la spinse violentemente mandandola a sbattere per terra.
Lilijan digringnò i denti in un'espressione che Mucha conosceva bene e disse “bastardi” sottovoce. Mucha la vide girarsi e raccogliere un bastone. Pregò perché la sua amica non facesse pazzie e cercò di dissuaderla dal muoversi, ma fu qualcun altro a fermarla.
«Non muovetevi da qui», disse una voce imperiosa. Mucha si girò a guardare il proprietario della voce, che frattanto aveva tolto il bastone dalle mani di Lilijan. Era lo straniero!
I suoi occhi gialli li guardavano freddi e feroci come quelli di una tigre e i capelli rossi striati di nero erano legati dietro la testa. Non fecero in tempo a dire nulla che li superò come un fulmine e fu addosso ai soldati prima ancora che quesi se ne rendessero conto.
Ven'zo fu il più pronto a reagire e mentre il suo compagno prendeva una bastonata in volto - a Mucha e a Lilijan sembrò di vedere dei denti che volavano! - estrasse la spada lunga che portava al fianco e cercò di colpire lo straniero urlando con rabbia.
Il fendente fu facilmente deviato dal bastone che un istante dopo colpiva violentemente una mano, facendo cadere la spada a terra. Altri colpi veloci e violenti arrivarono a Ven'zo, uno di punta alla bocca dello stomaco, uno al ginocchio, uno alla nuca.
L'altro soldato, Pychon - Mucha lo riconobbe, adesso - ebbe il tempo di realizzare che il loro avversario era troppo abile per le loro spade e tirò fuori la pistola dalla cintola. Era una moderna pistola ad avancarica, di quelle prodotte a nord est del Grande Mare, notò Mucha. Doveva essere già carica, perché Pychon la puntò e sparò allo straniero.
Era vicinissimo, eppure lo mancò! Oppure fu Neeno a schivare la palla, Lilijan non avrebbe saputo dirlo, seppure le parve di vedere un movimento impercettibile della testa di Neeno... seguito dal baluginare di una lama d'acciaio e da un ritmico fiotto di sangue dalla gola di Pychon.
Un istante dopo una lunga lama era poggiata alla gola di Ven'zo. Mocha e Lilijan udirono distintamente le parole della guardia:
«Brutto bastardo, hai ucciso Pychon!»
«Sembrerebbe di si. Il tuo sguardo mi lascia supporre che tu non abbia parlato a nessuno di me e mi viene da pensare che i tuoi amati concittadini non si lasceranno sfuggire una parola con i tuoi capi», disse Neeno senza spostare la lama di un pollice.
Ven'zo disse qualcosa che né Mucha, né Lilijan riuscirono a sentire, ma che provocò uno scoppio di ilarità in Neeno, che rispose:
«Peccato tu non abbia alcuna abilità marziale, guardia. Avresti potuto essere un ottimo avversario... con le parole e l'arroganza te la cavi e potresti essere anche un ottimo allievo... è davvero un peccato che io debba ucciderti»
Lo decapitò con un veloce movimento del braccio.

Mucha e Lilijan uscirono dal loro riparo mentre Neeno aiutava la donna a rialzarsi. Con un cenno della testa fece intendere ai ragazzi che dovevano riempire i secchi della donna.
«Grazie signore, grazie davvero, ma la prego adesso vada via, se l'Inquisitore vi troverà vi farà a pezzi», disse la donna.
«La ringrazio signora, ma non gliene darò il tempo, presto sarò io ad andarlo a cercare»
Le passò un fazzoletto per pulirsi dal sangue delle labbra.
I ragazzi le passarono i secchi pieni d'acqua e lei andò via, biascicando ancora ringraziamenti.
Mucha era estasiato, mentre Lilijan manteneva un'espressione dubbiosa, così come piena di dubbi rimaneva nei confronti di quello straniero.
«Che farai, adesso?», gli chiese.
Neeno la guardò, poi spostò lo sguardo su Mucha. Entrambi i ragazzi ebbero la sensazione che stesse scrutando nelle loro anime con quegli occhi gialli dalle pupille piccolissime. Il tutto durò pochi secondi, ma ai ragazzi parve un'eternità.
«Tu sei Lilijan, la figlia di Xa'yum, giusto? Hai gli occhi di tuo padre. E tu, ragazzo, mi sembra di averti già visto, o sbaglio?»
«No... non sbagliate signore, giocavo alla fontana in paese quando siete arrivato, ieri pomeriggio»
«Si ricordo, eri insieme all'altro ragazzino con i capelli castani. Immagino sappiate il mio nome», non era una domanda e proseguì, «Mi chiedevi cosa farò adesso, Lilijan. Penso di potermi fidare di voi, quindi ecco cosa farò: vi chiederò di tornarvene a casa, mentre nasconderò i cadaveri, dopodiché andrò a uccidere il vostro Inquisitore, non senza avergli ammazzato altre guardie. Non mi andrebbe di trovarmeli tra i piedi quando affronterò il loro capoccia»
«Perché lo fate, signore?», chiese Mucha, «Non siete del paese, non ci conoscete e non ci dovete nulla, eppure ci dite che ci libererete dall'oppressione»
Lilijan rincarò la dose:
«Mio padre stamattina sembrava distrutto. Siete sparito senza dirgli nulla. Cosa gli avete promesso? Ho capito chi siete voi, siete un cane sciolto, uno di quegli uccisori senza padrone. Sicuramente quando sarete di fronte all'Inquisitore passerete al suo servizio e diventerete un oppressore anche voi, come tutti gli altri!»
Neeno sembrò soppesare le loro parole, poi rispose:
«Tuo padre non ti ha mai parlato di Zyz, Lilijan? No, immagino di no. Noi spadaccini di Zyz non ci mettiamo spesso al servizio dei potenti... come posso spiegarvelo? Mettiamola così: alcuni di noi sono effettivamente dei cani sciolti, alla ricerca di qualcosa, di un'illuminazione e cercano sempre nuovi avversari, sempre più forti e sempre più pericolosi», si guardò intorno, poi proseguì.
«Forse con il vostro Inquisitore ho trovato la mia sublimazione, colui che mi permetterà di passare a un altro stadio della mia crescita interiore. Non lo faccio per altruismo, né lo faccio per tuo padre», disse rivolto a Lilijan, «seguo la Via dei Mutatori, coloro che, mutando il loro animo, si estraniano dal corpo che così combatte da solo, percependo in anticipo dove colpirà il suo avversario e reagendo con violenza e velocità a qualsiasi attacco, non difendendosi mai ma attaccando sempre.
«Non è semplice da capire, ci vogliono anni di duro allenamento fisico e spirituale e ci vogliono ottimi maestri. Il mio era il migliore»
Mucha era affascinato da quell'uomo strano e chiese:
«Potrei diventare abile come voi? Potrei essere anch'io un Mutatore?»
«Quanti anni hai, ragazzo?»
«Quasi tredici»
«Sei già molto grande... fatti guardare meglio»
Lo scrutò a fondo con quei suoi occhi gialli. Lo osservò a lungo, poi disse:
«Forse. Dovresti andare a Zyz al più presto, però»
Lilijan non era affatto convinta da quell'uomo strano. Decise che ne avrebbe parlato al padre. Senza dire una parola prese Mucha per un braccio e lo trascinò via, lasciando Neeno da solo.

martedì 13 aprile 2010

Lo Spadaccino di Zyz - Prima parte

Ci sono cose che dovrebbero rimanere sepolte e non avere la possibilità di muoversi liberamente nell'animo umano.
Ci sono cose che andrebbero taciute per sempre e non trovarsi a rivangare ossessioni e angosce chiuse nella mente.
Al contrario, certi problemi vanno affrontati ed eliminati, perché, al pari delle angosce e delle ossessioni lasciate libere di muoversi, possono portare un uomo alla dissoluzione.
Yznar Yne Reb'un, l'Inquisitore

Lo Spadaccino di Zyz – Prima parte

Il mio nome è Neeno Daedem e sono uno spadaccino, addestrato alla scuola di Zyz. Fin dalla più tenera età ero stato addestrato all'arte della guerra e del combattimento tanto che non avevo ricordi precedenti al monastero. Il giorno del mio diciottesimo compleanno, il mio maestro, il Mago Zoras, disse di non avere più nulla da insegnarmi. Qualsiasi altro insegnamento avrei potuto prenderlo dalla Via o dalla vita.
Molti spadaccini provenienti dalla mia scuola finivano per fare le guardie del corpo dei potenti e si facevano uccidere in scaramucce con banditi o in agguati fatti da bande rivali. Così avvenne per gli altri allievi della mia generazione quando, qualche anno dopo, lasciarono la scuola.
Non era destino per me, quello: sentivo che la mia crescita interiore non si era ancora interrotta. Ogni uomo che avrei ucciso avrebbe lasciato dentro me una traccia profonda, un senso di ineluttabilità che prima o poi, lo sapevo già, avrebbe sublimato le paure e le incertezze, rendendomi libero.
Zoras non si stupì quando decisi di seguire la Via della Spada così come era intesa al tempo della sua gioventù, molti anni prima.

Percorrevo la Via da circa un anno e da due notti avevo lasciato Ázzarin in direzione di Gusal'hybra, capoluogo del sud. Camminavo per una strada attraverso le verdi colline primaverili dell'Isola di Adaghôs e il giorno prima avevo attraversato il fiume Hymmere, il cui letto in quella stagione era ridotto a un grande pantano maleodorante. Il fiume era straripato inondando la campagna circostante e, quando si era ritirato, aveva lasciato il terreno argilloso della carrettiera duro come pietra, tranne in alcuni punti, ove l'acqua era rimasta più a lungo e rendeva il percorso molle e appiccicoso.
Era il decimo giorno Poŝjul'ost quando, da un'alta collina, scorsi un villaggio. Si trattava sicuramente di Ácatoy e, mettendomi di buon passo nonostante fossi piuttosto stanco mi proposi di raggiungerlo prima che facesse buio. Avrei cercato un letto per quella notte, non mi andava di stare all'aria aperta.
Giunto in paese mi incamminai verso dove pensavo fosse la piazza. Mancavano tre dita al tramonto e tutto era stranamente avvolto da un silenzio ovattato, il che rendeva l'abitato piuttosto inquietante. Le strade polverose erano deserte e le persiane delle prime case che vedevo da tre giorni a quella parte erano stranamente chiuse. I canali di scolo erano asciutti, segno che non pioveva da almeno dodici-tredici giorni e si era in crisi d'acqua.
Quando arrivai nella piazza si levò un leggero vento di bauluro, umido e soffocante: avrebbe piovuto fango di lì a qualche giorno. Un piccolo abbeveratoio alla mia destra era frequentato da un asino impastoiato che si dissetava e da tre ragazzini che giocavano con l'acqua. Di fianco era una locanda, sotto il cui patio sonnecchiavano due anziani. Accanto a loro era seduto quello che doveva essere il padrone dell'asino: un uomo armato di moschetto e spada lunga che mi guardava in tralice da sotto un berretto consunto. Mi sembrò di poter leggere nei suoi pensieri:
“Chi diamine è questo straniero? Lo torchierò per bene prima di farlo entrare!”, così ragionavano gli sgherri a quel tempo. Doveva essere un Sicario, ma in quel momento lo ignorai poiché non rappresentava un pericolo: dubitavo che facesse parte di una qualsiasi scuola.
Di fronte a me un Sohostero, un tempio di Muhadd, si ergeva inverosimilmente grande per un villaggio tanto piccolo. L'architettura era tipica: doveva misurare almeno venti metri in altezza e altrettanti in larghezza. Numerose statue di santi e monaci-guerrieri ne ornavano l'alta facciata, posta di fronte all'unico ingresso nella piazza. Altri cinque lati, tutti ugualmente decorati e con numerose finestre formavano il perimetro esterno.
Continuai a osservare la piazza circolare. Alla sinistra del tempio c'erano delle belle abitazioni private, tutte con le persiane sbarrate, e delle botteghe, tra le quali quella di un artigiano del legno. Proprio da questa venne fuori un uomo vestito poveramente che s'incamminò verso di me, veloce quanto la sua gamba zoppa gli permetteva.
Con la coda dell'occhio notai che il sicario si era spostato, mettendo il suo moschetto sulle cosce e il dito sul grilletto. “Proverà a spararmi?”, mi chiesi.
Mi voltai verso lo zoppo, con i muscoli in tensione come quelli di un felino. Mi raggiunse e si fermò a un paio di metri da me, distanza che a quel tempo indicava rispetto per qualcuno che si riconosceva come pari.
L'uomo si inchinò ed esordì con una formula di rito che mai mi sarei aspettato di ascoltare in quel luogo:
«La Lama Grande non si spezzi mai, Mutatore».
Stupito, mi inchinai anch'io allo stesso modo e risposi come mi era stato insegnato al tempo del mio apprendistato:
«E le Altre Lame possano sempre essere affilate, Mutatore».
A quel punto osservai meglio il mio interlocutore e solo allora notai i tipici tatuaggi a forma di losanga sulle sue tempie, le spalle imponenti e le cicatrici da taglio sulle braccia muscolose. Come me, aveva percorso anche lui la Via della Spada. Per quale motivo si era fermato in quel luogo dimenticato dagli dei e non si era recato a Zyz per farsi curare la gamba ferita?
«Benvenuto, compagno spadaccino», mi disse, «posso offrirti una granita e un letto per la notte?»
La domanda mi parve assai strana: i Mutatori non possedevano nulla, tanto meno una casa, ma risposi ugualmente con cortesia, riservando per dopo le domande:
«In effetti stavo per andare a prendere qualcosa da bere e a chiedere un letto alla locanda, dunque mi farà piacere usufruire della tua ospitalità, compagno spadaccino, ma prima vorrei conoscere il tuo nome».
I sensi mi avvertirono che avevamo attirato l'attenzione non solo dei vecchi e dei ragazzi presenti sulla piazza, ma anche di alcuni abitanti nascosti dietro le persiane. Dunque il paese non dormiva.
Soprattutto, però, mi resi conto ancora di più che il sicario era molto interessato al nostro incontro. Mi chiesi cosa potesse significare tanta attenzione.
La risposta del mio confratello non si fece attendere.
«Il mio nome è Xa'yum Fowra, il tuo?»
«Il mio nome è Neeno Daedem e accetterò volentieri ciò che hai da offrirmi Xa'yum. Attendi solo un minuto».
Mi voltai e in due salti fui addosso al sicario, tanto che questi, per la sorpresa, perse l'equilibrio.  Sarebbe caduto dalla sedia se non avesse appoggiato il calcio del moschetto a terra. Colsi l'attimo.
Avevo sguainato la spada corta e afferratolo per il bavero della camicia ne poggiai la lama contro la sua gola.
«Per quale motivo nutri tanto interesse per me, uomo?», gli chiesi.
«È mio dovere, straniero. Non capita ogni giorno di veder arrivare in paese un uomo con tre spade e un coltellaccio. Sono un addetto alla guardia cittadina e ti conviene lasciarmi immediatamente, prima che arrivino i miei compagni!».
La sua risposta spavalda mi piacque, proprio perché mi rendevo conto della paura che provava in quel momento. Ammirai il suo sangue freddo.
«Hai ragione “guardia”», non mollai la presa, ma rinfoderai la spada. «Dovrei lasciarti andare. Ma chi mi dice che poi tu non mi sparerai alle spalle quando mi sarò allontanato?». Detto ciò, lo spinsi contro la parete della locanda, mentre afferravo il suo moschetto. Subito dopo, sbattevo l'arma con violenza sul terreno, rendendola inservibile.
«Adesso sto più tranquillo. Se vorrai cercarmi e se saprai spiegare ai tuoi superiori come hai fatto a farti distruggere l'arma, sappi che potrai trovarmi a casa del buon Xa'yum. Salutiamo la compagnia», dissi, rivolgendomi ai vecchi, che avevano osservato tutto in silenzio, ma con lo sguardo scioccato.
Mi voltai e seguii il mio ospite, che non menzionò mai quanto era accaduto.
Entrammo nella bottega. Attrezzi, qualche lavoro finito e molti altri iniziati erano disposti con cura e ordine. Xa'yum serrò la porta e accese una lampada a olio, facendo strada verso una porticina che dava sul retro, dove si trovava l'abitazione vera e propria.
Parlammo molto quella sera, così venni a conoscenza del motivo per cui si sera stabilito in quel villaggio dimenticato dagli dei. Percorreva anche lui la Via della Spada: a quel tempo era più usuale che accadesse. Quindici anni prima era giunto ad Àcatoy e aveva cercato un avversario da sfidare.
Il giovane Inquisitore del villaggio aveva accettato la sfida e lo aveva sconfitto sonoramente, recidendogli i tendini della gamba destra e menomandolo per sempre.
Non era più ripartito perché si era innamorato della figlia del medico che l'aveva curato, Kat'etryn. Dopo qualche tempo l'aveva sposata, ma questa era morta dando alla luce loro figlia. La ragazza, Lilijan, adesso aveva quasi tredici anni e si trovava a casa di una zia per imparare i lavori domestici.
Senza preambolo disse:
«Ho notato che le tue losanghe sono vuote. So cosa significa e immagino tu aspiri alla losanga frontale... e forse a qualcosa di più».
«I fusi», conclusi per lui.
«Già, i fusi». Il suo volto era contrito, come se un peso gravasse nella sua mente. Forse il rimpianto per la Via abbandonata Dopo una breve pausa, proseguì:
«Quando arrivai qui ad Àcatoy anche io non ero mai stato sconfitto e avevo qualche anno in più di te adesso. Quando lotterai con l'Inquisitore... si ho detto “quando”, non ho detto “se”... il tuo era anche il mio modo di essere un tempo... quando lotterai con l'Inquisitore fai molta attenzione, il suo Potere va al di là di ciò che viene insegnato all'accademia. Non posso spiegartelo meglio, purtroppo, un'Inibizione mi impedisce di parlarne, ma dovrai prestare molta attenzione.».
Era noto che gli Inquisitori praticavano la magia e che spesso erano abili spadaccini, ma non avevo mai sentito parlare di un Inquisitore che aveva sconfitto anche il meno abile dei Mutatori di Zyz. A quanto pare avevo trovato il mio avversario!
«Ti ringrazio peri consigli, Xa'yum, ne terrò conto».
«Un'ultima cosa, ti prego», concluse. «Qualsiasi cosa tu abbia deciso di fare, sappi che sarò al tuo fianco nella battaglia. Avrai tanti nemici da affrontare e non lascerò un mio confratello da solo. Inoltre è da anni che mi preparo per la vendetta, così come ho preparato mia figlia a vivere senza di me. Sono disposto a morire per riscattare il mio onore».
Detto ciò, mi lasciò solo.
Subito dopo cercai di svuotare la mente e mi addormentai, finalmente tranquillo dopo non so più quanto tempo. Non mi importavano le motivazioni del mio ospite: ciò che mi interessava era che finalmente, dopo tanto vagare, sembrava avessi trovato un avversario degno di tale nome!