mercoledì 2 settembre 2009

Il Rapimento

L'aria fumosa della taverna aveva impregnato i muri, rendendoli più scuri di quanto già non fossero in origine. Gli avventori facevano la spola fra i tavoli e il bancone portando bottiglie di vino e, a volte, piatti con interiora di vitello e cipolla bagnati con limoni. Ai tavoli si giocava al tocco, si discuteva animatamente e c'era un atmosfera rilassata di giovialità e cameratismo.
Fra tutti i clienti del locale, solo Vathor era seduto al bancone con un unico bicchiere di grappa davanti. Non lo aveva ancora toccato, eppure parlava come un ubriaco, lamentandosi della crudeltà della vita e della sua terribile sorte con quella vocetta che più volte lo aveva reso ridicolo alle riunioni di piazza.
Quel giorno, tuttavia, aveva un ottimo motivo per lamentarsi della sua sfortuna. Sua figlia Ryella era stata rapita tre giorni prima e suo fratello Seppe, capo della milizia del barone, non era stato ancora in grado di trovare alcunché.
Vathor aveva promesso un premio in denaro a chi avesse trovato la figlia o a chi avesse fornito indicazioni utili al suo ritrovamento. Poiché era uno dei cittadini più facoltosi di Baha'rya, in molti si erano presentati da lui millantando informazioni che si erano rivelate assolutamente fasulle.
Quel giorno, alla taverna, entrò uno straniero. Aveva l'aria di chi sa il fatto suo, infatti il suo volto era segnato da cicatrici, al fianco sinistro portava una lunga spada dall'elsa molto elaborata e l'impugnatura di un pugnale faceva capolino dallo stivale destro. Una sudicia cappa bordeaux, che ai suoi tempi doveva essere stata bellissima, gli copriva le spalle possenti.
Non c'erano dubbi: sia l'odore emanato, sia il senso generale di sporcizia della sua intera figura, lasciavano intendere che l'uomo non doveva essere molto avvezzo a lavarsi.
Logher, il padrone della taverna, gli lanciò uno sguardo in tralice quando si avvicinò al bancone.
"Salutiamo" disse lo straniero con voce roca.
"Salute a te straniero" rispose Logher "cosa bevi?"
"Dammi un bicchiere di zibibbo"
"Eccoti servito. C'è cosa?"
Prima di rispondere, lo straniero portò il bicchiere alla bocca versandovi un lungo sorso della dolce bevanda liquorosa.
"Si, oste, c'è cosa. Intanto il tuo vino è buonissimo" posò il bicchiere pieno ancora per metà sul bancone e continuò "Vengo da Vaucchin e oggi ho visto qualcosa di strano sul Monte della Cava”
“Cosa hai visto di strano sul Monte della Cava?”
“Impronte”
“Impronte? Che vuol dire che hai visto delle impronte? Ci sono migliaia di animali su quella montagna e non è strano che tu abbia visto delle impronte. Bah, c'è gente strana in giro” concluse l'oste ridendo.
Lo straniero, impassibile, continuò:
“Il genere di impronte che ho visto non si trovano solitamente in queste lande. Uomo, io sono un cacciatore di orchi ed è l'impronta di un orco che ho visto in montagna”
L'interesse di Vathor fu catturato all'improvviso: era risaputo che gli orchi rapivano le donne e i bambini degli umani! Zittì l'oste che stava per rispondere allo straniero a cui si rivolse con cortesia:
“Mi dica di più sulle impronte che avete visto, straniero... c'erano altre... insomma, avete visto altro?”
Lo straniero osservò attentamente Vathor, forse pensando che non poteva essere stato un uomo a parlare con quella vocetta che si ritrovava. Sembrò valutare la possibilità di lasciar perdere quell'ometto insignificante, tuttavia rispose con garbo:
“Ho visto altro, si. Le impronte indicavano chiaramente che stava dirigendosi verso l'altro versante della montagna e che portava con sé un peso leggero: quaranta, forse cinquanta chili”
“Mia figlia!” esclamò Vathor “Poteva essere una ragazza?”
“Non so che dirle: avrebbe potuto essere anche un piccolo cervo o un lupo...”
“No, deve essere mia figlia... senta, non vi andrebbe di guadagnare trenta lire?” propose Vathor.
“Trenta lire? Chi devo ammazzare?” rispose lo straniero ridendo.
“No, non dovete ammazzare nessuno! Dovreste trovare le tracce dell'orco e portare indietro mia figlia... vi prego”
Lo straniero guardò Vathor con compassione. Era evidente che si sentiva attratto dalla promessa di pagamento, tuttavia si mostrò riluttante:
“Non so se ho voglia di tornare su quelle montagne. Se si tratta davvero di un orco potrebbe essere molto pericoloso...”
“Cinquanta lire” rispose interrompendolo Vathor.
“Beh... allora, messa così non si può rifiutare!”

Vathor attese al confine meridionale il ritorno dello straniero con la figlia rapita. Iniziò a piovere, ma Vathor non si mosse e fu sera e fu mattina.
Piovve tutto il giorno successivo: la moglie lo pregò di tornare a casa, di lasciare che gli eventi prendessero la loro piega, ma il pover'uomo non volle sentire ragioni. Mangiò un tozzo di pane e bevve due sorsi d'acqua e fu sera e fu mattina.
Smise di piovere e fu sera e fu mattina, ma Vathor ancora non si mosse. Era certo che lo straniero avrebbe riportato la figlia. Non gli importava più se viva o morta, voleva soltanto rivedere il volto d'angelo della sua bambina.
All'alba del terzo giorno comparve all'orizzonte un cavallo. Proveniva dalla pista del Monte della Cava.
“È lui! Ha riportato mia figlia!”
Vathor era felice come non mai, abbracciò la figlia spossata, la coprì col suo mantello, impaziente di sapere come erano andate le cose. Lo straniero, ferito alla testa, chiese di potersi riposare, prima di iniziare il racconto. Vathor lo ospitò, lo curò, gli diede da mangiare e da bere.
Il racconto che ne ottenne lo appagò totalmente, lo straniero aveva ritrovato le tracce dell'orco e le aveva seguite anche quando era cominciata la pioggia. Nonostante fossero via via sparite non si era arreso e, procedendo d'intuito, aveva trovato la grotta dell'orco. Il mostro sentendosi braccato era uscito per affrontarlo; aveva lottato a lungo senza però riuscire a ucciderlo, tuttavia lo aveva messo in fuga. Avrebbe voluto inseguirlo, disse, ma aveva preferito riportare la bimba dal padre prima di riprendere la caccia.
Quando ripartì con le cinquanta lire di compenso al sicuro dentro la sua borsa, uno strano sorriso era stampato sul volto dello straniero.
In città non lo videro mai più.

“Abbiamo fregato anche quegli stupidi, Krk. Ecco, tieni la tua parte”
“Grazie. Mrgh... sento che ti sei lavato. Puzzi da fare schifo!”
“Io puzzo? Fetente di un orco, a furia di frequentarti non so più cosa significa lavarmi per non offendere le tue delicate narici... grosso idiota, non hai idea di come sia rilassante stendersi in una vasca di acqua calda piena di sapone... aah, che goduria è stata!”
“Goduria? Brrr, mi vengono i brividi al solo pensiero... piuttosto, hai mangiato bene? Mi hai portato qualcosa di gustoso?”
“Tieni, ho un bellissimo zampone tutto per te... anche se preferirei cuocerlo e mangiarlo anch'io”
“Cuocerlo? Sei pazzo! Questo è ottimo così”
L'orco addentò lo zampone mentre Anthon, sorseggiando del buon vino di Baha'rya, descriveva con la sua voce roca il momento del ricongiungimento fra padre e figlia.

2 commenti:

  1. ciao yen!
    che sfizio rileggere i tuoi racconti!
    ciauz da ring! ;D

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  2. Ah ma questo io lo conosco, è uno dei miei preferiti.

    Giuliano

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