martedì 1 settembre 2009

Il Riparo della Rocca

Sul colle dei Quattro Artigli, con il sole alle spalle e lontano dalle sue guardie personali, Malkarth osservava la città assediata con espressione pensierosa e assorta.
L'anno precedente, arrivando da oriente, aveva visto per la prima volta Tharmaes, poggiata a mezza costa sul promontorio che la ospitava e l'aveva giudicata una facile preda.
Le difese della città si erano rivelate ostiche da superare: le alte mura, i molti bastioni difensivi e il grande porto avevano reso inefficaci i continui assalti.
Aveva allora devastato le campagne attorno alla città, quasi prosciugato il fiume Lònardos, costruito una flotta di cinquanta triremi per sconfiggere le navi dei tharmaesi, ma tutto si era rivelato inutile: gli erano giunte notizie di una fonte di acqua pura alle falde della Rocca. Dopo avere sconfitto gli avversari in battaglia, la sua poderosa flotta era stata distrutta da una terribile tempesta scatenatasi improvvisa durante il corso della battaglia.
Aveva fatto decapitare tutti i suoi aruspici per questo smacco e i tharmaesi continuavano a sfruttare le loro barche da pesca per sfamarsi e importare merci dalle non lontane Isole dei Venti.

Un fremito nell'aria e un brivido lungo la schiena gli annunciarono l'arrivo del suo consigliere.
Un piccolo turbine d'aria si sollevò alla sua sinistra, crescendo fino a raggiungere dimensioni umane. Prontamente, Malkarth si scostò di tre o quattro passi per non essere trascinato chissà dove dal vento che si sollevava, ma in pochi istanti il turbine cessò e con un piccolo tuono ed uno sbuffo di fumo grigio, Esman il Mago, il suo unico consigliere, era lì al suo fianco.
«Oh, Malkarth, sei qui?» chiese fingendosi sorpreso. «Certo che sei qui! Dove dovresti essere, oh grande condottiero degli Eubusi? I tuoi non hanno ancora trovato il modo di espugnare la città? Avete provato l'espediente degli Achei a Ilio? Sciocchi troiani... credere che dopo dieci anni di guerra si possa abbandonare il campo in questo modo! No, i tharmaesi non cadrebbero in quell'inganno, è troppo recente la distruzione di quella poderosa città perché qualcuno l'abbia dimenticato»
«Sto inziando a pensare che Tharmaes non cadrà mai con la forza, Esman» interloquì Malkarth «Non siamo riusciti a bloccarli per mare e le loro risorse sembrano non finire mai. Il grande condottiero qui davanti a te sta perdendo fiducia nei suoi mezzi, mago».
«Hai ragione a diffidare. Ho parlato con il mànteion di Zyz che mi ha aperto gli occhi. Tharmaes non cadrà né per forza, né per inganno, almeno finché l'Agkalen Omphalos sarà custodito nel Riparo della Rocca».
«Maledetto stregone, parli per enigmi: sai bene che non conosco l'ellenico! Per Eracle, spiegami cosa significa Agkalen Omphalos?».
Gli occhi penetranti del condottiero si fissarono sul volto del mago come per scrutarne i pensieri, ma l'espressione di Esman non cambiò affatto: con un sorriso sardonico sosteneva il fiero sguardo del guerriero.
«L'Agkalen Omphalos è la Pietra Sacra della Roccia Scavata. Fu posta nel Riparo della Rocca dalle ninfe che accudirono Eracle di ritorno dalla sua ennesima Fatica. Fu grazie ad essa che furono in grado di creare le terme per temprare i muscoli dell'eroe.
«Finché quella pietra rimarrà nel luogo in cui si trova, Tharmaes non potrà essere espugnata, perché protetta dalle ninfe e da loro padre Poseidone, il dio ellenico del mare e dei terremoti. Se la pietra verrà scalzata dal suo loculo da un eroe coraggioso, Poseidone inferocito scatenerà un terremoto che causerà una breccia nelle mura della città. A quel punto per i tuoi sarà uno scherzo entrare in città»
A Malkarth non sfuggì l'espressione beffarda negli occhi del suo unico consigliere e gli chiese:
«È da sei mesi che abbiamo la fortuna di averti fra noi, mago: per quale motivo mi stai mettendo al corrente soltanto oggi di questa pietra? E perché a scalzarla dovrebbe essere un eroe coraggioso e non un pastore o un mercante?»
Esman gli rispose con fare irritato, come se stesse parlando a un bambino poco sveglio:
«Nessun pastore avrebbe qualcosa da fare su quella parete rocciosa e ancora meno affari li avrebbe un mercante. Parlavo di un eroe perché in tendevo stimolarti, idiota! Inoltre, troppi uomini sono morti»
«Non mi dirai che adesso ti sta a cuore la sorte dei miei uomini, Esman? Ho imparato a conoscerti in questi mesi ed è l'unica cosa che non mi aspetto da uno come te!» lo derise Malkarth.
«Dei tuoi uomini non mi importa nulla, hai ragione» rispose freddamente in mago «La verità è che sta avvicinandosi la brutta stagione e non ho intenzione di svernare su questi colli: ho voglia di una casa di pietra e di un camino per riposare le mie vecchie e stanche ossa! Ad ogni modo, la ragione più importante per cui ti sto mettendo al corrente solo ora di questa Sacra Pietra potresti facilmente immaginarla, se solo lo volessi: ne sono venuto a conoscenza soltanto adesso e gli oracoli non si possono consultare con leggerezza. Ho dovuto attendere, prima di potermi recare sulle montagne di Zyz infestate dai Sicani. Nemmeno i thaermesi stessi conoscono l'esistenza della pietra».
Malkarth osservava il volto del mago e in cuor suo sentiva che doveva esserci dell'altro. Non poteva essere così semplice sconfiggere una città che gli resisteva da tanti mesi. Il Riparo della Rocca, una grotta scavata dagli Antichi sulle pendici nord-orientali del promontorio di Tharmaes, non sarebbe stato facile da raggiungere anche se non rientrava nella cerchia delle mura.
A questo pensiero, un nuovo dubbio assalì Malkarth:
«Mago, non ci sarà per caso un mostro a guardia della pietra? Anche se non parlo l'ellenico, so bene che le ninfe e gli Dei ellenici lasciano dei mostri a guardia dei loro tesori».
«Non mi starai dicendo che hai paura?» chiese Esman ridendo «Il grande condottiero Malkarth di Eubuso, conquistatore di Kephalodyon e di Mabbonath, figlio di Hadad il Grande, avrebbe paura di inoltrarsi in una grotta perché potrebbe trovarci un mostro? Sai che grasse risate si farebbero i tuoi uomini se venissero a sapere una storia del genere!»
Gli occhi di Malkarth si ridussero a due fessure infuocate. Le mani si chiusero a pugno e la tensione dei muscoli del corpo del guerriero era tale da far risultare evidente la sua voglia di saltare addosso al mago e strangolarlo con le sue mani.
Eppure si trattenne vedendone il sorriso: era ben consapevole di quanto sarebbe stato folle un gesto del genere. Aveva visto Esman uccidere un uomo senza nemmeno sfiorarlo: mormorando strane parole lo aveva fatto sanguinare dalle orecchie, dagli occhi e dal naso per poi lasciarlo morire fra atroci tormenti.
Non aveva la minima intenzione di porre fine alla sua vita così stupidamente.
Tuttavia, il mago aveva ragione: aveva paura, ma non poteva darlo a vedere agli altri capi tribù, avrebbe perso il loro rispetto. Doveva essere lui a prendere quella pietra sacra alle ninfe, non poteva mandare altri uomini dove lui non era disposto ad andare.

Malkarth pensò tutta la notte al modo di avvicinarsi al Riparo della Rocca senza farsi uccidere: dopo aver scartato diverse possibilità, concluse che avrebbero dovuto agire in pochi e nottetempo.
Convocò una consiglio di guerra. Raccontò ai capitribù dell'incontro col mago e ordinò di impegnare le difese cittadine a partire dal tramonto. Nel corso dell'attacco, con le forze tharmaesi impegnate nella battaglia, lui e un manipolo di soldati della sua guardia personale avrebbero tentato la scalata fino alla famigerata grotta.

Era una notte di luna crescente e Malkarth guidò dieci uomini fino alla foce del fiume Lònardos. La battaglia era iniziata e, anche se non poteva vederne le luci poiché si trovava settanta metri più in basso e l'intera rocca di Tharmaes si frapponeva fra lui e il suo esercito, ne sentiva il clamore.
Spostate le spade sulla schiena, il manipolo guidato da Malkarth iniziò la scalata fra rocce e arbusti spinosi.
A metà della salita raggiunsero un pianoro largo poco più di quaranta centimetri che si inerpicava zigzagando sulla rocca. Dopo una decina di metri divenne uno sentiero in mezzo agli alberi.
Avevano scelto bene il loro percorso: si trovavano in una sorta di anfiteatro sotto le mura e attraversandolo da una parte all'altra sarebbero arrivati a poche decine di metri dalla loro meta.
Alla fine del sentiero Malkarth fece fermare i suoi uomini: erano giunti all'apertura della grotta e, come aveva immaginato, non c'era nessuna guardia.
«Fermatevi qui.» ordinò ai suoi uomini «Entrerò io da solo. Aspettate qui il mio ritorno. Non fatevi scorgere, ma non fate avvicinare nessuno. Se all'alba non sarò tornato, tornate al campo e invece del mio corpo bruciate tutti i miei averi. Avrete tempo di ritentare l'impresa»
«Lascia che io venga con te, Sire» disse Nauba'al, il più forte e il più fidato dei suoi uomini.
«Non è necessario fratello. Ho con me la spada di mio padre e non temo nulla» rispose sguainando la lunga spada.
I suoi occhi erano bracieri e la decisione nel suo sguardo convinse Nauba'al che nulla l'avrebbe fermato quella notte, se non un intervento divino.

Malkarth non si era mai sentito tanto solo quanto nel muovere quei primi passi dentro la grotta.
Spada in pugno, dopo essere inciampato, si diede dello stupido: la fretta e la paura che lo attanagliava gli aveva fatto dimenticare un aspetto fondamentale. Rise fra sé e tornò sui suoi passi. Si ritenne fortunato perché con quel buio nessuno lo aveva visto fare quella magra figura.
Uscì e chiese ai suoi uomini una torcia. Nauba'al gliene porse una già accesa.
Senza fare un cenno e stavolta con un passo più deciso, si incamminò nella grotta, conscio di avere poco tempo, poiché i suoi uomini stavano morendo sotto le mura della città.
Si inoltrò nella grotta, evitando le rocce affioranti che sembrava volessero ghermirlo. Il pavimento era soffice sotto i suoi calzari, mentre il tetto della grotta si alzava per quattro o cinque metri. Illuminato dalla torcia, il terreno iniziò a degradare mentre il tetto sparì dalla vista come un velo di oscurità che si fosse posto sopra la sua testa.
Malkarth sentiva il proprio cuore battere troppo velocemente nel suo petto e allungò il respiro cercando di calmarsi. Sentiva di essere troppo nervoso.
Camminava nella grotta da almeno venti minuti quando la parete che aveva di fronte iniziò a restringersi, fino a ridursi ad una apertura sufficiente a mala pena per il passaggio di un uomo. Malkarth vi si fermò davanti ed ebbe la precisa sensazione di essere giunto alla sua meta.
Aggiustò la presa sulla spada e, portando avanti la torcia, si inoltrò nella fessura. Non appena la ebbe superata, gli si parò dinnanzi uno spettacolo inaspettato. Si trovava in una caverna circolare il cui diametro doveva superare i cinquanta metri. Rocce appuntite scendevano dall'alto, rocce appuntite salivano verso l'alto. A volte si incontravano a formare colonne traslucide alte quanto quattro uomini, tanto era alto il «soffitto». Le ombre create dalla luce della torcia danzavano fra il colonnato irregolare, creando a volte forme che sembravano umane.
Proprio al centro della caverna una di queste colonne aveva una forma diversa dalle altre: tutte le colonne erano più strette nella parte centrale, mentre la colonna centrale presentava un rigonfiamento più o meno a due metri di altezza.

Si avvicinò alla colonna e il rigonfiamento si rivelò per ciò che era: un uovo di pietra intagliato si teneva in equilibrio fra le due sottilissime punte di roccia. Era come se due pilastri, uno dall'alto, l'altro dal basso, fossero stati creati appositamente per sostenere la Pietra Sacra di Tharmaes. Malkarth non credeva ai suoi occhi.
«Allora è vero! Quel pazzo di uno stregone non mentiva» disse a sé stesso.
«No, non mentivo!»
La voce improvvisa fece trasalire Malkarth che si voltò brandendo la spada pronto ad attaccare l'assalitore. A pochi passi da lui c'era Esman.
«Non mentivo Malkarth. Quella pietra è la chiave di volta delle mura di Tharmaes. Come ti ho già detto, i cittadini non sanno della sua esistenza, appartiene ad un Altro Tempo, è un ricordo di un'epoca oramai finita»
Gli occhi di Malkarth corsero dal mago alla pietra per poi tornare a fissarsi sul «consigliere».
«Non ti chiederò perché mi hai seguito, Mago. Rinuncio a tentare di comprendere le tue motivazioni, ma dimmi quali sono le tue intenzioni adesso. Devi dirmi qualcos'altro prima che io butti giù quella pietra dal suo piedistallo?»
Il mago esplose in una risata che fece gelare il sangue nelle vene di Malkarth.
«Mi diverti, Eubuso» disse, «Mi spiace solamente che tu debba avere una sorte tanto triste. Vedi, anche se riuscissi a scalzare la pietra dalla colonna, saresti schiacciato sotto il peso delle rocce cadute. Sono qui per darti una possibilità, l'ultima: torna fuori e accetta la sconfitta, oppure resta qui sotto, scalza la pietra e muori con la certezza che i tuoi conquisteranno Tharmaes»
«Cosa? Dovrei scegliere tra la mia vita ed il mio onore? Sei pazzo mago!» pronunciando le ultime parole Malkarth si lanciò contro il mago lasciando partire un fendente che intendeva squarciargli il petto, ma il colpo andò a vuoto: il guerriero era passato attraverso il corpo di Esman come fosse fatto di aria.
La risata del mago echeggiò nella caverna.
«Mi credi davvero così stupido da espormi personalmente alla tua lama?»
Adesso Malkarth non vedeva più il mago chiaramente... i contorni erano sfocati e il suo corpo pareva evanescente.
«Che tu sia maledetto, Esman! Gli inferi saranno grati di avermi... e ti attenderò laggiù spada in pugno»
Detto questo, Malkarth si voltò nuovamente concentrandosi esclusivamente sulla Pietra Sacra.
Apparentemente Esman lo lasciò solo.
Mentre osservava la pietra, la sua mente fu oscurata dalla paura e dai ricordi di quante volte aveva rischiato la vita in battaglia. Non riusciva a credere che la sua esistenza stava per concludersi. Improvvisamente tutto gli fu chiaro: ringuainò la spada, si avvicinò alla pietra e la afferrò con entrambe le mani.
«Morirò per la gloria, mago maledetto. I miei uomini prenderanno Tharmaes e sarò ricordato come il condottiero mai sconfitto in battaglia, ucciso in una caverna da un sortilegio delle ninfe!»
Strattonò la pietra. Non riuscì subito a tirarla via. Tirò più forte. Ancora una volta.
Al quarto tentativo la pietra venne via.
Non perse tempo: si alzò, si voltò prendendo la torcia da terra e iniziò a correre, mentre il crepitio delle rocce si faceva sempre più forte.
Cadde, si rialzò e ricominciò a correre.
Si ferì sbattendo innumerevoli volte, ma il suo pensiero correva al mago e alla vendetta che pregustava qualora si fosse salvato.
Molte pietre gli caddero addosso, ma Malkarth non le sentì. Corse fino a perdere il fiato, sempre con il desiderio di vendetta.
Quando vide la luce, lasciò cadere la torcia e corse ancora più forte, anche se le forze lo abbandonavano, anche se tutto il mondo stava crollando attorno a lui. Ricordò il punto dov'era inciampato al suo primo ingresso nella grotta e scavalcò la roccia traditrice, tuffandosi fuori dalla grotta e ruzzolando per qualche metro, un istante prima che tutto rovinasse su di lui.
Respirò e, improvvisamente ebbe come un illuminazione: aveva compreso l'intento del mago!
Alzò gli occhi e vide i suoi uomini fissarlo increduli.
Nauba'al gli disse: «Il mago ci aveva detto che eri morto, ma non siamo andati via. Ti avremmo atteso all'infinito Malkarth il Grande»
«Dov'è andato lo stregone?» chiese.
«È andato via... avremmo dovuto trattenerlo?»
«Non importa» rispose Malkarth, che in cuor suo intendeva ringraziarlo per ciò che aveva fatto.
«Adesso non importa. Andiamo a prendere la città» ordinò ai suoi uomini.

1 commento:

  1. Ora vengono fuori gli altarini! Altro che assedio di Costantinopoli (mi era venuto in mente questo a una prima lettura, vari mesi fa).
    Bellissima rielaborazione della storia locale in chiave "Conaniana".
    Per ora è il tuo racconto che preferisco.

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