Era calata la nebbia, improvvisa e
silenziosa, e l'umidità iniziava a penetrare nelle ossa. Erano tutti
abituati a muoversi senza fare il minimo rumore, eppure, in
quell'ambiente fattosi spettrale, ogni singolo respiro, ogni passo,
ogni fruscio dava l'impressione di un rombo di tuono alle orecchie di
Jesànder. Alzò il pugno per fermare la colonna di fanti e il suo
luogotenente, Driscoll, gli si avvicinò, ma non aprì bocca: sapeva
che il Capitano stava concentrandosi per sfruttare l'udito acuto
della sua gente.
Il sussurro con cui gli si rivolse lo
fece trasalire, ma riuscì a comprendere appieno il significato: nel
loro linguaggio di battaglia li avvertiva di prepararsi a uno scontro
imminente con un imprecisato numero di nemici.
“Fegato”, fu portato di bocca in
orecchio in pochi istanti lungo tutta la colonna: tanti piccoli
bisbigli seguiti da altri caratteristici rumori indicarono a Driscoll
che gli uomini si disponevano alla battaglia secondo lo schema
adottato decine di volte in queste situazioni. Anche gli uomini
sapevano che i koklapyani si facevano proteggere dalla nebbia per
preparare le terribili imboscate con cui difendevano la loro terra:
comparivano all'improvviso, uccidevano il maggior numero di nemici,
davano fuoco ai carri con le vettovaglie e sparivano.
Spesso Driscoll si era domandato se
valesse davvero la pena tenere fede all'ingaggio, se non sarebbe
stato meglio per loro oltrepassare di nuovo le montagne e tornare a
combattere a sud, tra le carovane e le sabbie roventi per qualche
mercante di Asklepija. Ne aveva parlato spesso a Jesànder durante
quella missione, ma da quell'orecchio sembrava non sentirci. Si
diceva fosse stato stregato da quel Lord Aëshvèll quando aveva
combattuto con lui a est e che poi lo avesse seguito dappertutto.
Certo, il Capitano era molto competente
e la paga ottima, ma era sufficiente per affrontare una guerra come
quella, in un a landa tanto ostile? Non c'erano città da
saccheggiare, né bordelli da visitare.
Perso nei suoi pensieri, si rese contro
che Jesànder aveva iniziato a parlare solo perché la condensa che
usciva dalla sua bocca era aumentava considerevolmente. Aveva perso
l'inizio della frase:
«... solo un falso allarme. Fermiamoci
un po' qui, Driscoll. Con questa nebbia rischiamo di perdere la pista
e, data l'ora, un luogo vale l'altro. Che non allentino la guardia.
Però: che tengano indosso le corazze e le armi a portata di mano,
intesi?»
«Sissignore, Capitano!». Si allontanò
per dare gli ordini.
Driscoll si era distratto. Jesànder se
n'era reso conto immediatamente, ne aveva sentito il respiro e i
battiti del cuore avevano accelerato, non come quando ci si prepara a
uno scontro, ma nel modo in cui fa quando si sogna a occhi aperti.
Sicuramente pensava a qualche ragazza che aspettava i suoi regali in
un bordello di Asklepija: come dargli torto? Li aveva trascinati in
quella terra dagli dei estranei e crudeli, dove il meglio che potesse
capitarti era la dissenteria nei grandi accampamenti, l'umidità
della brughiera e con un nemico che rifuggiva gli scontri diretti.
Se avesse dovuto scommettere sui
pensieri della compagnia, avrebbe certo puntato su qualcosa di simile
a quello che aveva in mente Driscoll. Lo chiamò.
«Si Capitano»
«Ho preso una decisione: se tra una
clessidra la nebbia non si sarà alzata ci rimetteremo in marcia»,
dall'ampio mantello di lana trasse fuori una piccola mappa. «Pista o
meno, sappiamo che dobbiamo andare a nord-est per ricongiungerci al
resto della truppa. Hai ancora con te quella bussola da tasca?»
«Sissignore. Ci tengo molto e la porto
sempre addosso, specie da quando combattiamo in mezzo a questo...
beh, come dire, a questo macello, Signore».
«Ottimo. Una clessidra, passa la voce
e tieni la retroguardia».
Doveva sempre dare a quell'uomo
qualcosa da fare: era un ottimo combattente, veloce, scaltro e
soprattutto sobrio, ma non era capace di concentrazione. La sua
mente, dopo pochi secondi di inattività, iniziava a vagare in chissà
quali direzioni. Quel luogo e quella guerra lo stavano rendendo
inaffidabile come luogotenente, forse doveva assegnarlo a una nuova
mansione.
Un urlo nella sua testa spazzò via
ogni pensiero:
«Allarmi!», urlò a sua volta.
Gli era già capitato in altre
occasioni di sentire delle urla nella mente e ogni volta ne era
seguito uno scontro. Anche quella volta fu così.
Sentì voci concitate, degli spari,
Driscoll che ordinava di disporsi su due linee:
«Picche avanti, moschetti dietro,
muovetevi!».
“L'attacco viene dalla
retroguardia. Quanti saranno?”, pensò Jesànder. Prese con sé
dieci spadaccini e ordinò al sergente Umagh di tenere il fronte.
Aggirò dalla destra la formazioni disposta da Driscoll, mentre i
moschettieri aprivano il fuoco.
Il suo gruppo intercettò i nemici sul
fianco e, giunti a pochi passi, scaricarono loro addosso le pistole,
usandole poi come mazze con la mano libera dalla spada. I picchieri
caricarono e lo scontro si concluse in pochi minuti. Gli assalitori
erano pochi e male organizzati.
«Feriti, Driscoll?»
«Due, in modo leggero, possono
marciare»
Jesànder assentì con il capo, ma le
sue parole non erano soddisfatte:
«C'è qualcosa che non va, qualcosa di
terribilmente sbagliato. Hai notato i loro occhi? Quegli uomini erano
terrorizzati»
«Ho avuto la stessa impressione,
Capitano. In effetti davano l'impressione di essere in fuga e di
essersi imbattuti per caso nel nostro gruppo»
«Si, potrebbe essere. Ma da cosa
fuggivano? Amici nostri o nemici? Chi o cosa è capace di infondere
tanto terrore in un uomo? Ci sono troppe cose strane in questa terra
e i loro stregoni hanno dei poteri che i nostri non comprendono.
«Muoviamoci, voglio allontanarmi il
più in fretta possibile da questo luogo».
Si rimisero in marcia dopo aver
prestato il primo soccorso ai feriti.
Jesànder si era convinto che la
spiacevole sensazione provata quando aveva fatto fermare i suoi
uomini era dovuta proprio allo scontro appena vinto. Si sforzava di
non dare peso al formicolio che gli saliva lungo la spina dorsale
fino a fargli rizzare i capelli sulla nuca. Lo interpretava come la
tensione che seguiva la battaglia.
“Ho proprio bisogno di riposo!
Vorrei sapere cosa sta cercando Lord Aëshvéll in questa terra...”
Stavolta
l'urlo nella sua mente fu tanto forte che fu costretto a fermarsi e
tapparsi le orecchie, come se servisse a qualcosa. Fu Driscoll a dare
l'ordine di fermarsi, ma non fece in tempo ad avvicinarsi al Capitano
che tutta la colonna fu scossa da un terribile ruggito, seguito da
urla e spari.
Jesànder
e Driscoll udirono distintamente la voce del sergente Umagh finire
l'ordine “Quadrato” con un urlo di dolore che gelò loro le ossa.
Si
precipitarono in fondo alla colonna e ciò che videro li trovò del
tutto impreparati. Occhi rossi e crudeli, zanne, artigli, corna e una
folta peluria bruno-rossiccia. Una figura alta quasi tre metri
circondata da un'aura rossastra. A una prima occhiata parve a
Jesànder un incrocio tra un orso, una capra e un lupo. Terribile a
vedersi incuteva una paura ancestrale e stava facendo strage dei suoi
soldati, che cercavano di colpirlo con spade e fucili, ma non
riuscivano a ferirlo, mentre venivano dilaniati e lanciati lontano.
«Un
chàstar!», esclamò
Driscoll.
«Cosa?»
«Un
demone di roccia in forma animale. Mio nonno serviva un cacciatore di
demoni e li chiamava chàstar.
La descrizione corrisponde a questo mostro qui! Maledetto!».
Detto
ciò si lanciò all'attacco, brandendo davanti a sé la lunga spada
da combattimento.
Jesànder
era stordito, incapace di muoversi. Aveva la netta sensazione che il
demone cercasse proprio lui! Nel preciso istante in cui realizzò
questo pensiero, sentì gli occhi del mostro piantarglisi addosso e
nella sia mente ne udì la voce crudele “L'ho trovato!”.
Con
noncuranza il chàstar
si liberò degli uomini che gli stavano attorno e si lanciò alla
carica. Durante la corsa travolse tutti coloro che lo fronteggiavano,
con fragore di ossa fratturate e schizzi vermigli che volavano
dappertutto.
Finalmente
qualcosa in Jesànder si smosse: puntò la pistola e fece fuoco.
Colpì il mostro ad un corno, che si spaccò rallentandone la corsa,
ma non abbastanza. In pochi istanti gli fu addosso, ma Jesànder
riuscì a schivarlo come faceva con i tori da ragazzo. Il riflesso
condizionato dell'arena lo portò a ruotare il polso e colpire di
punta la base della nuca del mostro, che correva piegato per
trafiggerlo con le corna.
La
durezza della pelle del mostro lo colpì come il contraccolpo sulla
spalla, mentre il chàstar,
ruotando a sua volta a una velocità impressionante, gli diede un
manrovescio alla spalla sinistra lussandogliela e scagliandolo
lontano.
Jesànder
piombò a terra, con il braccio inerte sotto di sé.
Il
demone lo sovrastò e il ghigno del mostro gli fece temere che era
giunta la sua ora. Il chàstar
levò le braccia unendo le mani a maglio, verosimilmente per
frantumargli la testa, noncurante dei colpi che i suoi uomini
cercavano di infliggergli.
Le
braccia stavano iniziando il fatidico movimento, quando una freccia
si piantò nel petto del mostro, scuotendolo e sorprendendolo.
Un
battito di ciglia dopo un'altra freccia lo raggiunse a una spalla,
seguita da una voce stentorea:
«Demone!
Non porterai a termine la tua missione finché sarò in vita io!
Prova soltanto a distogliere l'attenzione da me e ti ridurremo come
un puntaspilli!», concluse ridendo.
Jesànder
ebbe la forza di alzarsi a sedere e il terzetto che vide lo stupì
non poco. Un uomo alto brandiva una lunga spada a due mani i foggia
molto antica e due ragazzi imbracciavano due archi con le frecce
incoccate. Avevano tutti lunghi capelli rosso-mogano e nella nebbia i
loro occhi emanavano una strana luminosità.
Jesànder
sentì nella sua mente la furia del chàstar,
che caricò il terzetto senza pensarci su. I due ragazzi si
dileguarono, mentre l'uomo rimase impassibile, alzando semplicemente
la spada alta dietro la spalla destra.
La
velocità della scena che seguì gli fece girare la testa: il mostro
accelerò la propria corsa e l'uomo lo schivò con noncuranza
proprio all'ultimo istante, calando al contempo la spada, che in un
baluginare d'acciaio decapitò il mostro con quell'unico, micidiale
fendente.
Il
corpo del demone piombò a terra e l'uomo vi appoggiò sopra la punta
della spada. In pochi secondi avvenne qualcosa di straordinario: una
leggera brezza spazzò via sia il corpo del mostro che la nebbia,
rivelando a Jesànder lo scempio fatto dal mostro alla sua compagnia.
I tre si avvicinarono a Jesànder e lo aiutarono a rialzarsi.
«Eri
tu il suo bersaglio», gli disse l'uomo.
«Si,
l'avevo intuito... sono sconvolto... ma non vi ho ancora ringraziato
per averci salvati!».
«Nessun
ringraziamento ci è dovuto. Siamo giunti più tardi di quanto
pensassimo. Seguivamo il chàstar
da molti giorni, ormai. Eravamo nel Kanfôyl sono trenta ore fa».
«Siete
arrivati fin qui dal Kanfôyl in meno di due giorni?».
«Viaggiamo
veloci, quando vogliamo. Adesso dobbiamo lasciarvi. Siete stato
coraggioso, ma né la vostra lama, né la vostra mente erano pronte
per un avversario del genere e i vostri nemici lo sapevano bene».
«Aspettate!
Prima di andare via ditemi almeno i vostri nomi!».
«Io
mi chiamo Sashtÿr Nument-Ab, i due ragazzi sono Yënvël, mio
figlio, e Keërn, mio nipote. Addio capitano Jesànder Mahlkawy».
«Hey,
aspettato, come sapete il mio nome?».
Sashtÿr
non rispose, ma si limitò a guardarlo con quegli strani occhi
gialli. Si voltò e, seguito dai ragazzi, si allontanò a passo
svelto. Jesànder era molto provato e troppo sconvolto per insistere
ancora o per rendersi pienamente conto di ciò che era accaduto.
Un
Driscoll pesto e sanguinante, ma senza ferite gravi, lo raggiunse.
«Ma
chi diamine erano quelli?».
«Cacciatori
di demoni, suppongo. Hai notato i loro occhi? Erano dei Vaunlay».
«Vau-che?»
«Vaunlay.
Sono una nuova razza del mondo, figli di un Umano e una Laynorë».
«C'è
gente che si accoppia con quelle streghe?».
«Alcune
di loro hanno molto fascino. Posso comprendere come ci siano uomini
che deciderano giacere con loro. Dimmi qual è la situazione».
«Ventisei
morti, quaranta feriti, dei quali la metà non passerà la notte. Gli
altri feriti possono camminare. Poi ci siete voi con un braccio
rotto. Quelli che non hanno ferite sono comunque pesti più o meno
come me».
Jesànder
trattenne una smorfia di dolore. Con un sospiro diede i suoi ordini:
«Segneremo
i nomi dei morti. Le loro paghe andranno alle famiglie. Li copriremo
con dei massi, in attesa di poter venire a recuperarli con mezzi più
adeguati. Finito il lavoro ci riposeremo e ci rimetteremo in cammino
domani. Voi che non siete feriti ci precederete al forte e tornerete
a prenderci con dei carri.
«Speriamo
che nel frattempo non ci attacchi nessun altro!».
Si
sforzò di fare una risata, ma non ci riuscì. Era troppo provato
dagli eventi di quell'ultima mezz'ora.
Driscoll
lo lasciò alle cure dell'ufficiale medico, miracolosamente illeso.
Jesànder
avrebbe avuto molte cose su cui riflettere durante i prossimi giorni
e molte domande da porre a Lord Aëshvéll al suo ritorno dal
Kanfôyl.
Al
momento, però, doveva rincuorare i suoi uomini. Non avrebbe detto
loro che il chàstar
cercava lui. Era stata un'esperienza già abbastanza sconvolgente,
senza bisogno di sapere che l'uomo che ti guida è diventato
bersaglio di forze oscure. Era una cosa che avrebbe dovuto affrontare
da solo.
Nessun commento:
Posta un commento